venerdì 22 luglio 2011
Genova 2001: La verità diventa menzogna. Genova 2011: Tutto come prima, o quasi
Per potere non si intende quello di chi, oggi o domani, sarà maggioranza politica, ma quel potere che nei suoi volti viene comunemente riconosciuto come quello della casta e dei suoi numerosi affiliati. Durante e dopo le giornate di Genova i mezzi di informazione parlarono di “assalti dei black block”, di gruppi organizzati con l'obiettivo di devastare la città., di sangue infetto lanciato contro la polizia, di possibili attacchi aerei e subacqui, di tutto insomma. Meno che di una cosa, di quello che realmente avvenne.
A Genova la polizia italiana (tra le poche in europa a non avere numeri identificativi per i propri agenti) commise di tutto, ma i mezzi di informazione non se ne accorsero. Alcuni giornalisti vennero pestati a sangue, ma non se ne accorsero. Alcuni videro le le macchine fotografiche che avevano al collo sfracellarsi per terra, ma non se ne accorsero. Ad alcuni venne mostrato il dito sulle labra che intima il silenzio, ma non se ne accorsero. E alla fine pensarono, inutile replicare o denunciare, meglio assecondare la versione ufficiale: “assalto dei balck block”.
Pochi giorni fa, per chi non lo sapeva, le rivelazioni del famoso Spider Truman sul suo blog anti-casta, hanno spiegato che i parlamentari usano mandarsi lettere minacciose per ottenere le scorte. Nessuno rammenta delle lettere di minacce inviate a casaccio a giornali e politici prima del G8? Nessuno rammenta i presunti annunci comparsi sui siti antagonisti che promettevano sangue? A nessuno viene la morbosa curiosità di capire chi sono i famosi black block?.
La risposta è più facile della domanda: Nessuno. Potrei dire che sono come babbo natale, anche se in questo caso il natale si è festeggiato a luglio. Ma che nessuno abbia timore, non si vedono solo una volta l'anno, ricompariranno più tardi, quando serve. Ecco, è questa la storia in poche righe di Genova, la storia di un intero mondo, quello del potere, che si prende gioco di tutti., fino al punto di alimentare un dibattito che non esiste e che continua a tappare occhi, bocche e orecchie, tanto basta per nascondere tutto quello che veramente accadde.
I narcos diventano templari
Una ventina di pagine dove furti, decapitazioni e sequestri contrastano con i principi etici dei narcotrafficanti: lotta alle ingiustizie e al materialismo; protezione dei più deboli con in testa vedove e orfani, patriottismo, ricerca della verità divina e fedeltà al gruppo. Il tradimento sarà punito con la morte e l'omicidio permesso soltanto dopo un'autorizzazione.
Secondo le autorità messicane, a capo dei 'templari' ci sarebbe un ex maestro elementare, il cui nome di battaglia è “la Tuta”, artefice della scissione dei “cavalieri” dalla banda criminale che tradizionalmente agisce nella zona di Michoacan, “La Famiglia”. Per dimostrare la loro forza,“i templari” usano sfilare per le vie delle città con convogli armati, assaltano caserme della polizia e roccheforti del gruppo criminale rivale, “Los Zetas”. Azioni puntualmente riprese e mostrate su Youtube.
Tra le attività principali dei “templari” c'è la ricerca di nuovi seguaci. Il proselitismo e l'abilità dei gruppi criminali di assoldare nuovi “soldati” rendono sempre più difficile l'azione di contrasto delle autorità messicane. Nonostante il crescere degli investimenti degli Stati Uniti per potenziare i controlli al confine con il Messico e l'offensiva al narcotraffico condotta dal governo di Felipe Calderon, il potere dei cartelli della droga non sembra diminuire. Dal 2006 a oggi la guerra al narcotraffico e tra i narcotrafficanti ha causato quasi 31 mila morti.
Il legame tra gruppi criminali e credenze religiose è risaputo. L'icona della Santa Muerte, la protettrice dei narcos che compare spesso sulle braccia dei trafficanti di droga e in una statua della piazza del quartiere Tepito, una delle zone più malfamate della capitale, Città del Messico, è la raffigurazione più conosciuta del rapporto tra criminalità e teologia. Anche l'utilizzo di canti popolari con melodie ecclesiastiche e non, conosciute nel Paese come musica “narcocorrida”, alimentano la cultura del narcotraffico, ben lontana dall'essere soltanto un insieme di pratiche di vita adottate dai cartelli della droga.
giovedì 15 ottobre 2009
O LA BORSA O LA VITA
Ci sono vari modi per vivere due ore, si può considerarle 120 minuti, due blocchi da 60, il tempo per una cena, una telefonata troppo lunga, e se si può andare oltre, perché no, anche il tempo di massacrare i Senegalesi in un piccolo quartiere. Fortunatamente di questi “pericoli” si curano le istituzioni, e allora viva il tricolore, grazie Fiamme Gialle.
Accantonando l’ironia che è facile provare non vivendo di persona certe tristi esperienze, torniamo ai fatti, che per quanto noti siano è ancora opportuno ricordare. Alle 9.00 di lunedi 5 ottobre nel quartiere popolare il Pigneto di Roma, luogo conosciuto nella città per la sua componente multietnica e per essere un ritrovo serale per molti degli studenti che popolano la capitale, quattro agenti in borghese della Guardia di Finanza si dirigono verso un gruppo di ragazzi senegalesi, dicono loro qualcosa e vanno via, non abbandonano il quartiere, continuano a girare nella zona. Alle 14.00 circa delle grida. I senegalesi che vivono presso due palazzi a Via Campobasso corrono in strada e vedono uno dei quattro agenti puntare una pistola alla tempia di un loro connazionale, reo, secondo i finanzieri, di avere dei portafogli da voler vendere. Dopo una trattativa durata alcuni minuti i senegalesi riescono a convincere gli agenti a lasciar andare il ragazzo. Ovviamente l’iniziativa dei finanzieri sembra piuttosto azzardata, ma ancora non è tutto, anzi, il peggio deve ancora arrivare. Alle 18.00 alcune camionette della Finanza arrivano a Via Campobasso, dove vive la maggioranza della comunità senegalese della zona. “Comincia la caccia all’uomo” racconta Alberto, un ragazzo italiano che vive nel quartiere, “erano indiavolati e colpivano tutti quelli di colore. Erano tantissimi, non saprei dire quanti”. I Finanzieri, in tenuta anti-sommossa, armati di scudi e manganelli, cominciano il macabro ballo della violenza che coinvolge le piccole strade del Pigneto per 2 ore. Saranno
Dopo tutto questo diviene logico, o almeno lo è per chi scrive, chiedersi se sia questa la sicurezza della quale continuamente si parla. Se sia questo il diritto a girare tranquillamente nei propri quartieri di cui la politica riempie giornali e tv, se sia questa quella che alcuni continuano a chiamare democrazia. E allora diviene solo retorica e ridicola la condanna degli atti violenti che colpiscono le diversità, specie se ad architettarli sono le istituzioni.
giovedì 2 luglio 2009
Sinceramente
lunedì 29 giugno 2009
Iran: la terra di mezzo
In Occidente spesso si sopravvaluta la figura di Ahmadinejad, in molti credono sia una specie di diavolo negazionista con l'intento di donare la bomba atomica al regime. In realtà Ahmadinejad non è molto di più che una maschera della Guida Suprema di Khamenei e del Consiglio dei Saggi. Sono loro che effettivamente gestiscono il potere e il più delle volte imboccano i ragionamenti del leader iraniano. La rivoluzione del 1979 di Khomeini abbattè la monarchia persiana dello Scià con l'aiuto dei mujaiheddin islamici e dei fedayyin (volontari del popolo di ispirazione marxista), ma pian piano furono i religiosi ad assumere il controllo della lotta contro l'autarchia del monarca, riuscendo così a imporre la nascita della Repubblica Islamica. Per quanto la costituzione stabilisse la creazione di due poteri separati, ovvero quello politico del Presidente della Repubblica e del parlamento e quello religioso della Guida Suprema, è a quest'ultima che di fatto facevano capo i veri poteri gestionali. Questo quadro è fondamentale per capire come le tensioni interne iraniane non siano il frutto dell'amministrazione di Ahmadinejad, ma il prodotto di venti anni di oppressione religiosa. Il controllo della Guida Suprema non si esercita soltanto nell'adozione per legge dei precetti islamici, ma anche nel vietare addirittura le candidature di esponenti troppo distanti dall'Islam nelle elezioni presidenziali, e quindi nella possibilità di una censura preventiva da parte di Khamenei. E' questo il senso degli scontri che di ora in ora fanno precipitare la Repubblica sciita nel caos. Ahmadinejad sostiene che dietro le rivolte di questi giorni ci sia la lunga mano americana e inglese. E' plausibile che i governi di Washington e Londra facciano il possibile per destabilizzare il regime e dargli quella spallata che di fatto cambierebbe le carte in tavola nelle relazioni mondiali, ma questo non significa che le proteste vengano portate dall'estero a Teheran. Gli iraniani soffrono una limitazione delle proprie libertà ormai da tempo, e probabilmente hanno capito che mostrare tutta la loro rabbia per il regime in un contesto storico politico ove, ritornando alla frase di Obama, tutto il mondo guarda in quella direzione, avrebbe dato loro maggiore possibilità di riuscita. E' difficile prevedere come finirà la rivolta ora in corso nelle strade nel breve periodo, ma si può pronosticare che nel lungo, se il regime manterrà la logica della repressione, la sua vita non sarà duratura. E' improbabile infatti che le vicende di questi giorni si sgonfino cosi' tanto da ricollocare il paese in uno status di sonno apparente. Certo è nello stesso modo complicato credere che il regime abbia poche opportunità di sopravvivere una volta riaperta la libertà di stampa, di associazione e di espressione, ma è vero che se l'obbiettivo della Guida Suprema è conservare un ruolo centrale nella politica iraniana negli anni futuri, non potrà resistere ancora per molto se non passando per una sconfitta. Nonostante i principali leader internazionali si celino nei telegiornali nazionali e non dietro parole di imparzialità o al massimo di condanna delle violenze del governo iraniano, è evidente che una caduta del regime aprirebbe una nuova fase storica nella quale sarebbe possibile dare una nuova svolta alla stabilizzazione dei territori mediorientali. Semplicemente non avendo Teheran come nemico, molte cose potrebbero cambiare in Pakistan, Afghanistan, Irak, Libano, Siria, Palestina e altri paesi. Questo i leader occidentali lo sanno bene, e nonostante abbiano avuto delle timide aperture anche dal governo di Ahmadinejad, lo cambierebbero volentieri con un altro interlocutore. Le timide condanne che arrivano in questi giorni da Stati Uniti e Europa non sono soltanto il frutto del nuovo corso dell'era Obama, ma anche la timidezza determinata dal parteggiare troppo per una rivolta che forse verrà sconfitta e che seguita con troppa partecipazione rischierebbe di bruciare i passi in avanti fatti fino ad ora con il governo iraniano. L'ago della bilancia rimangono quindi quelle strade, è li che si ripone la speranza di sbrogliare la matassa e dar vita a un nuovo corso se possibile, o ricominciare da dove ci si era lasciati.
BCE: moneta senza frontiere
India. dal socialismo al liberismo di destra
domenica 3 maggio 2009
Veline e politica
Non siamo solo corpi, ma esseri liberi di volare
giovedì 2 aprile 2009
Londra, G 20: esplode la rabbia
domenica 29 marzo 2009
L'Onda scende in piazza e travolge Alemanno
I manifestanti hanno più volte dichiarato di "aver fatto carta straccia del protocollo Alemanno", e di non avere paura delle cariche della polizia. Nonostante il corteo non fosse autorizzato e violasse le disposizioni del protocollo sulla regolamentazione cittadina delle manifestazioni della giunta comunale, le forze dell'ordine hanno deciso di non intervenire e lasciare chegli studenti valicassero zone vietate dalla normativa.
L'obbiettivo dichiarato da parte degli studenti era quello di mettere in crisi il protocollo e di costringere il sindaco: o a caricare e disperdere gli studenti, o a rinunciare almeno per una giornata alla normaiva sugli scioperi. Il campidoglio ha poi dichiarato di aver autorizzato tutte le manifestazioni della giornata, ma mettendo in evidenza un certo imbarazzo per essersi sentito obbligato a farlo nel timore di non poter controllare la situazione.
venerdì 27 marzo 2009
Liberi di scegliere? Il Vaticano dice no e la politica gli stringe la mano
Da qualunque patre venga un'imposizione, guelfi o ghibellini che siano, non può essere tollerata nessuna decisione che neghi all'individuo di scegliere il suo ultimo atto. Una buona legge è una legge che tiene dentro di se le opinioni di tutti, non quelle di alcuni che con sufficenza le impongono ad altri. E' importante sottolineare che il polverone non nasce dal tentativo di sminuire la fede e le ragioni dei credenti, ma dall'arroganza di pensare che uomini che vivano seguendo la parola di Dio possano decidere anche per chi ha valori e opinioni diverse. La popolazione italiana ha già mostrato con una fortissnima partecipazine nel caso di Eluana Englaro di non gradire scelte che limitino la libertà dei singoli, e probabilmente lo dimostrerà ancora una volta qualora le venisse data parola; sempre che, ben inteso, almeno per una volta la politica riesca ad uscire dai palazzi e tornare per le strade.
mercoledì 25 marzo 2009
La Nord Corea arresta due giornaliste coreane-americane
I rapporti tra Stati Uniti e Corea del Nord nel corso degli ultimi anni hanno visto un progressivo deterioramento, soprattutto in relazione al programma spaziale del governo di Pyeongyang. Gli Usa credono che le operazioni nascondano in realtà un progetto di natura bellica, e consisterebbero nel lancio nello spazio di un satellite in grado di fornire rotte per i missili nordcoreani Pyeongyang dichiara invece che i propositi sono assolutamente pacifici e che il lancio del satellite è finalizzato solo ad una maggiore copertura spaziale. Nella difficile situazione dei rapporti tra Stati Uniti e Corea del Nord si inserisce la continua insofferenza del governo di Seoul, particolarmente preoccupato per la nomina da parte del presidente nordcoreano Kim Jong-Il del generale O-Kuk Ryol alla vicepresidenza della commissione nazionale della difesa, considerato dal governo sudcoreano un “falco” viste le sue continue dichiarazioni a Radio Pyeongyang di possibili attacchi alla Corea del sud per riunificare il popolo coreano.
Anche l'amministrazione americana, attraverso il segretario di stato Hilary Clinton si dice preoccupata dalla possibilità di un nuovo conflitto tra le due coree, e definisce il dialogo impossibile finchè il governo di Kim Jong Il non metterà da parte le sue continue dichiarazioni di guerra e porrà fine al progetto spaziale. In realtà i rapporti tra Washington e Pyeogyang avevano vissuto periodi di maggiore distensione nell'anno passato, quando l'amministrazione americana aveva rimosso la Corea del Nord dalla lista nera dei paesi reputati sostenitori del terrorismo internazionale, ed in cambio aveva ottenuto che quest'ultima aprisse i suoi siti nucleari alle visite degli osservatori internazionali. Ora però il governo nordcoreano sembra assolutamente intenzionato a portare avanti il suo progetto spaziale senza accettare nessuna interferenza da parte degli Stati Uniti, e a anzi deciso di rifiutare le 169.000 tonnellate di approvvigionamenti alimentari che proprio dagli Usa arrivano.
mercoledì 18 marzo 2009
Alemanno dice protocollo, la polizia fa si con la testa
Questa è la linea di discussione che intorno all'approvazione del protocollo i media hanno condotto. Si continua ad evitare invece l'analisi del perchè in Italia continuino a verificarsi moltissime manifestazioni di dissenso, cercando, in alternativa, di arginare i danni collaterali da esse provocate. I lavoratori o gli studenti in sciopero, non sono più persone che reclamano diritti, ma ostacoli al flusso circolatorio, né più né meno di un camion parcheggiato in doppia fila. Sono lontani gli anni nei quali, seppur aspramente, il dibattito politico coinvolgeva ed interrogava tutta la società. Dove la politica non si faceva solo nei palazzi ma nei bar, nei mercati e nelle strade. E' qui che divengono fluorescenti i limiti di una Repubblica immatura che, invece di ascoltare le migliaia di persone che la popolano e la rendono viva, pensa a metterle, accuratamente e silenziosamente, in fila due per volta.
martedì 17 marzo 2009
La democrazia si ferma a Genova
Castelli: smontato il teorema,, D’alema: fatti incredibili
“E’ mancato il coraggio”, questa l’ accusa dei pubblici ministeri al tribunale di Genova. Un uomo paga per tutti. Biagio Antonio Gugliotta, ispettore della polizia penitenziaria, è l’unico degli imputati ad aver avuto, tra le accuse, l’aggravante della “violazione dei diritti fondamentali”. Secondo la procura, che condanna l’uomo a 5 anni di carcere, il sotto-ufficiale non avrebbe fatto nulla per porre fine alle torture subite dai manifestanti all’interno della caserma di Bolzaneto.
Gli inquirenti Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati prendono atto delle 30 assoluzioni e delle 15 condanne che, per effetto del recente indulto, non prevederanno nemmeno un giorno di reclusione dei 24 anni complessivi disposti. Infatti dal prossimo anno i reati saranno tutti prescritti anche qualora i pubblici ministeri facessero appello, cosa che, dicono: “ faremo lo stesso per coerenza, consci di aver fatto un lavoro onesto”. I p.m. contestano sopratutto la decisone della procura ligure di non inserire tra i capi di imputazione l’abuso d’ ufficio, impedendo così di fatto, l’estendersi della “ violazione dei diritti fondamentali” agli altri imputati giudicati colpevoli.
Il dibattito italiano coglie da Genova un nuovo motivo di scontro. Il centro-destra parla con Castelli di “teorema sventato”, mentre il Partito democratico evidenzia “l’accertamento di fatti al limite della comprensione”. Anche la stampa inglese attacca il verdetto. Il Sundey accusa la polizia italiana di fascismo riportando alcune dichiarazioni delle parti lese che raccontano di aver dovuto inneggiare ripetutamente a Mussolini pur di fermare le continue vessazioni, e riproponendo l’ambiguità della presenza dell’attuale presidente della Camera Gianfranco Fini nella stazione dei carabinieri di Genova.
A.R.. un diciannovenne romano, racconta di aver subito sputi, pugni sul torace, e manganellate tra i testicoli. Di aver sentito urlare a delle ragazze “ Vi scoperemo tutte prima di stasera”.
Gli imputati si dicono intanto soddisfatti e “riabilitati”, compresi i condannati. Questa è l’espressione utilizzata da Giacomo Toccafondi. Il medico dai guanti neri e dalla tuta mimetica che in quelle burascose ore visitò i 252 no-global arrestati, e condannato ad un anno e due mesi di reclusione.
Un inferno come quello di Genova, non può essere riconducibile ad un unico uomo, non può avere un solo regista. Oggi più che mai c’era bisogno di una forte risposta delle istituzioni, dove per forza, si intende la capacità delle stesse di riconoscere l’oblio democratico di quella caserma, di mettere i responsabili di tanta violenza fuori dal recinto sancito dalla democrazia. In un momento ove quotidianamente si assiste ad un braccio di ferro tra politica e magistratura, con la prima che mortifica la seconda, dove i fatti dell’immondizia napoletana e le tangenti ai politici abruzzesi offuscano l’immagine delle istituzioni, era necessaria una comune assunzione di responsabilità, che differenziasse la democrazia dal tacito silenzio e dalla sottile approvazione.
Olimpiadi di Pechino: Polemiche, attentati e arresti
Sono movimentate le battute iniziali delle olimpiadi cinesi. Già da molto tempo i governi di molti paesi partecipanti discutevano della necessità di dare, proprio nell’ occasione dei giochi, un segnale rispetto alla questione tibetana ed alla mancata applicazione dei diritti umani sanciti dal trattato di Ginevra in Cina.
Alla vigilia della cerimonia inaugurale, dall’Italia, è Gasparri a rilanciare un’azione politica dimostrativa, chiedendo agli atleti di non parteciparvi. Tuttavia proprio dalla maggioranza arrivano i primi disappunti. Lo stesso ex presidente di Alleanza Nazionale ed attuale presidente della camera, Gianfranco Fini, ha dovuto sconfessare il suo compagno di partito, negando che il boicottaggio rappresenterebbe un modo opportuno per manifestare il dissenso politico in un’occasione come questa. Lo stesso Berlusconi si è visto costretto placare le polemiche distinguendo le pertinenze della politica da quelle dello sport.
Anche gli atleti italiani hanno detto la loro,.Molti hanno rivendicato l’importanza per un atleta di partecipare ad un evento come quello delle olimpiadi, aggiungendo inoltre che inserire lo sport nei vuoti della politica è un errore.
Questa è infatti la linea del C.I.O (comitato italiano olimpico), che col suo presidente Petruccioli, afferma che coinvolgere gli sportivi nelle questioni della politica internazionale è un mal riuscito tentativo di strumentalizzazione.
Anche l’opposizione del partito democratico, con l’ex ministro dello sport Giovanna Meandri, evidenzia le contraddizioni del governo “ prima accompagnano i nostri atleti con una delegazione governativa e poi chiedono loro di non partecipare alla cerimonia di inaugurazione”.
Intanto oggi, 4 attivisti free-Tibet (2 americani e 2 britannici), sono riusciti ad issare degli striscioni di protesta contro la repressione cinese in terra tibetana di pochi mesi fa. La polizia cinese ha il suo bel da fare nell’oscurare ogni forma di dissidenza, sia sul web (vi è una continua operazione di monitoraggio- censura su ciò che viene mostrato in rete), sia nelle piazze. Non vi sono immagini, infatti, degli scontri che secondo alcuni giornalisti presenti sul luogo sarebbero avvenuti in piazza tienamen in una manifestazione contro il regime tra dimostranti e polizia.
Difficile inoltre capire realmente cosa sia successo nell’attentato che ha coinvolto ed ucciso 16 poliziotti cinesi. Il governo ha comunicato, poche ore dopo, di aver arrestato “ 18 agitatori stranieri” che farebbero capo ad un gruppo islamico gia conosciuto per azioni simili. Tuttavia mancano ai giornalisti presenti le possibilità di verificare condizioni e luogo dell’attentato (ancora non accessibile alla stampa). Assenti quindi gli elementi chiave necessari per una fedele ricostruzione dell’accaduto.
L'etica hackers
E’ difficile che una persona divenga “casualmente” un hacker, per quanto ovviamente ciò non significhi che essi appartengano a categorie standardizzabili e sempre uguali, si distinguono comunque per una accentuata passione e senso di collettività. L’esempio forse più calzante di queste affermazioni è nel rinomato Luther Blisset. L’autore di Q e di Marituana è in realtà un acronimo di una azione controculturale che si serve della guerriglia psicologica per sabotare il controllo che il potere esercita sui media. Chiunque può appropriarsi liberamente di questo nome multiplo, tutti gli attivisti si chiamano Luther e questo rende possibile la loro identificazione: si cancella l’identità anagrafica con l’intento di perdere quella di in-dividui per divenire con-individui. Questo movimento, oltre ad essere ideale per esprimere il concetto di multiproprietà, è in grado di ottenere un risultato immediatamente tangibile, ovvero quello di mettere fortemente in crisi il meccanismo del copyright e dei diritti d’autore. L’utilizzare il medesimo nome per indicare un numero significativo di individui da inoltre l’opportunità di evidenziare un’altra delle caratteristiche dell’etica hacker, ovvero quella che Bey chiama “nomadismo psichico”. Questo rappresenta l’abbandono delle appartenenze familiari, etniche, nazionali, geografiche, religiose, di gruppo politico, e di identità rigidamente intese, diviene cioè una nuova cultura, adeguata per il profilarsi di nuove ed innovative dinamiche relazionali. Un riferimento importante degli hackers sono le Bbs (Bulletin Board System). Essi ne riconoscono il ruolo in quanto forma autonoma di gestione dell’informazione dai grandi oligopoli mediatici, e vorrebbero anzi venisse presa a modello come metodo di tutela del libero pensiero. Essendo forma di controcultura, gli hackers ovviamente diffidano dell’autorità in generale, e specialmente di quella burocratica industriale. Essa, legata alla logica della proprietà informativa, è politicamente inconciliabile con la morale dell’hackeraggio, e anzi espressione del modello culturale che si intende rovesciare. Il sogno degli hackers è infatti assai diverso da quello degli agenti commerciali dell’informatica. Quest’ultimi sono ritenuti responsabili delle briglie poste alla tecnologia, che non lasciano segua un percorso di naturale evoluzione, e che la veicolano completamente ed esclusivamente verso i propri interessi. Altro motivo di scontro è la richiesta hackers di poter mantenere l’anonimato di ogni utente. Secondo la loro filosofia è infatti inammissibile qualsiasi forma di schedatura senza lo specifico consenso dei navigatori telematici. Spesso infatti le aziende del settore utilizzano la rete internet per mandare messaggi commerciali volti a pubblicizzare i propri prodotti; le legislazioni dovrebbero essere molto più dure con queste tipologie di fenomeni piuttosto che verso chi tenta di allargare le maglie dell’informazione e coinvolgere la maggior parte possibile dei soggetti presenti nel quadro sociale. Questo elemento di contrapposizione è forse quello che più di tutti ha reso la figura degli hackers famosa nel mondo. E’ innegabile che essi provino un certo gusto nel considerarsi una nuova avanguardia rivoluzionaria e pertanto al centro delle attenzioni dei poteri mondiali. Ovviamente lo scontro, che nasce comunque su basi ideologiche, è divenuto presto pretesto di sbeffeggiamento e di rivalsa. Quelli che forse sarebbe opportuno definire dei nuovi pionieri della conoscenza, sono così divenute figure reali dell’immaginario di ogni individuo, e alimentato storie e leggende sul proprio conto che, il cinema e l’editoria, hanno immediatamente recepito ed utilizzato a proprio vantaggio. Il fine principale comunque, era è continua ad essere: portare il computer alle masse, e farne un mezzo rivoluzionario atto a sovvertire l’ordine costituito attraverso la promozione della conoscenza. Perché il cambiamento sia effettivamente radicale, il computer dovrà essere anche il mezzo attraverso il quale promuovere una nuova estetica che tenga conto, da un lato dell’utilità, e dall’altro della necessità di donare alla creazione una bellezza propria ed esule dal suo autore. Gli hackers comunicano tra loro attraverso quello che viene comunemente definito “il computer underground”. Questa rete relazionale è una struttura aperta alternativa orizzontale di scambio informatico, non ufficiale e non gerarchica; la sua organizzazione sociale è, al livello di minima sofisticazione, quella tra colleghi. Qui gli hackers sviluppano le nuove conoscenze acquisite e le scambiano ed integrano con quelle raggiunte dagli altri colleghi. Spesso collaborano al fine di realizzare un progetto comune, e questo implica fiducia, acquisibile con l’idea della fattività correlata alla meritocrazia precedentemente citata. In questi luoghi, seppur senza volto, gli hackers svilupperanno una fitta rete di relazioni atte all’obbiettivo di rovesciare i modelli culturali vigenti. La “rivoluzione” implicherà necessariamente una nuova ridefinizione dell’uomo. Egli dovrà concepirsi autore reale della propria vita e smettere di accettare le barriere alla conoscenza poste da altri. Dovrà acquisire la forza e la curiosità necessaria al superamento della propria alienazione ed impedire a chiunque di veicolare le modalità di apprendimento del sapere.
E’ imperativo hackers rimuovere la conoscenza come fattore esclusivamente economico (una parte vorrebbe venisse completamente rimossa la possibilità di guadagnare attraverso l’informazione). Il tempo dedicato alla diffusione della conoscenza non è solo un lavoro, e pertanto non va considerato rigidamente come tale, cioè sottoposto alle rigide logiche del profitto ed a quelle della parzialità geografica. Diffonderla indipendentemente dai suoi ricavi, permetterà al mondo di conoscere e riconoscere se stesso da Tokio a Kabul. Sarà così possibile: da un lato rimuovere le differenze strumentali e artificiali, dall’altro evolvere costantemente e comunemente verso un sistema mondo che cammini insieme nel rispetto delle varie differenze. Fino a che fare conoscenza significherà principalmente acquisizione di denaro e potere, sarà impossibile rimuovere le barriere dell’ego umano a favore del libero flusso della collettività. Bisognerà necessariamente, poiché si vive nell’epoca del capitalismo, trovare nuove modi attraverso i quali coniugare i due elementi e privilegiare comunque il senso civico dell’intento rispetto al suo lato puramente economico. Da quanto fino ad ora sostenuto, è facile evincere come la morale hacker costituisca un pericolo per gli assetti di potere odierni. Se la circolazione del sapere fosse effettivamente libera e ad usufrutto di chiunque, è immaginabile che vi sarebbero dei cambiamenti a dir poco strutturali, e che tutte quelle che fino ad ora sono state percepite come certezze smetterebbero di esserlo. Visto il carico della sfida che l’hackeraggio ha deciso di affrontare, non stupiscono le continue dichiarazioni governative e non, volte a circoscrivere il fenomeno. Infatti qualora i propositi degli hackers divenissero realtà, non solo andrebbero in crisi le classiche figure del potere, ma lo stesso sistema sulle quali si fondano. Ciò nonostante, l’agire delle multinazionali informatiche, non si delinea solo come censura ed estromissione, ma anche come tentativi di cooptazione del mondo hacker. Numerosi sono i tentativi riusciti delle grandi aziende nel corrompere i “rivoluzionari digitali”. Questo perché essi non sono solo una minaccia, ma degli intenditori di informatica, e pertanto nuove competenze tecniche a proprio servizio. Ciò nonostante, il mondo sotterraneo dell’hackeraggio sta oramai acquisendo una forza tale da sembrare incontrollabile. Anche nei paesi dove la censura mostra il suo lato più brutale, gli hackers riescono ad essere portatori di controcultura e talvolta a far acquisire nuova consapevolezza alle masse. Uno dei mari nei quali essi spesso sguazzano, è quello del nascente fenomeno dei blogger. Spesso infatti creano dei siti di controinformazione nei quali mostrano l’altra faccia della medaglia, o screditano le versioni date dalle autorità. Si moltiplicano altresì i siti nei quali è possibile reperire materiale o programmi crackati e sottoposti al rigido schema delle licenze. Insomma, gli hacker oggi non sono più delle gocce nel mare, ma una parte considerevole di esso. Mettendo in evidenza quelle che sono le caratteristiche etiche degli hackers, ne esce un quadro completamente diverso da quello nel quale si è abituati collocarli. Sempre dipinti come dei “traccheggiatori” senza scrupoli, sono invece dei comunissimi appassionati di tecnologia e sostenitori della conoscenza globale. Analizzate quelle che sono le caratteristiche fondanti dell’ideologia hacker, ci si rende conto che in questa categoria rientra un numero di persone molto più vasto di quello che invece sarebbe una comunità di “vandali informatici”. Gli obbiettivi che essi si prefiggono hanno uno spessore etico ed una potenzialità davvero sorprendente. Ed è per questo che sono forse oggi la sfumatura sociale meno arrestabile. Un hacker non è una specie di supereroe, ma una comune persona in grado di parlare il linguaggio della macchina; è questo che malvolentieri oggi i poteri forti dell’informazione stanno realizzando. Mentre una volta era possibile stanarli ricercandoli nei vecchi scantinati nei quali solitamente erano, oggi sono comparsi dietro ogni singolo computer e combatterli diviene sempre più difficile. Le potenzialità derivanti dalla macchina e soprattutto dalla rete internet, sono troppo grandi per poter essere limitate. Nonostante le varie invenzioni censorie, sarà sempre fortemente impari la quantità e la qualità delle forze in campo, e guardando al futuro sembra prevedibile che le multinazionali informatiche si vedano costrette a fare dei passi indietro. Ovviamente queste previsioni sono ancora ben lungi dal trovare conferma empirica, e potrebbero cambiare radicalmente considerato il valore della posta in gioco. E’ infatti questo che bisogna tenere costantemente presente quando si osserva l’evoluzione dei propositi hackers e le controrisposte dei poteri dell’informazione. Se gli hackers dovessero (anche in un futuro davvero lontano) vincere questa battaglia, le caratteristiche delle società fino ad ora conosciute sarebbero clamorosamente rivoluzionate. Probabilmente anche la stessa idea di democrazia verrebbe sottoposta a revisione. La trasparenza non dipenderebbe più dalla sensibilità e dal senso civico dei vari amministratori, ma dal fatto che i cittadini potrebbero verificarla in prima persona e conseguentemente decidere. La verità dei fatti non sarebbe più ad interpretazione di un gruppo ristretto di individui, ma di una comunità molto più vasta. L’obbiettivo è tutt’ora molto lontano, ma sono aumentate a dismisura le persone che nutrono un profondo scetticismo verso i canali dominanti. Sono davvero in pochi ormai coloro che credono nella spontanea sincerità del sistema, e sempre più invece quelli che cominciano a covare il serio dubbio che sia tutto molto più complesso di quello che sembra. Molti studi hanno recentemente mostrato che condividere metodi, forme e contenuti della conoscenza, permette di raggiungere risultati davvero incredibili, molto più importanti di quelli invece risultato del personalismo dei suoi autori. Il solo diffondere questi dati, permetterebbe quanto meno di capire che il percorso che si sta seguendo non è quello volto a far si che l’uomo sappia il più possibile nell’arco della sua vita, ma quello deciso da soggetti che sanno benissimo che per conservare un determinato ruolo sia sociale che politico, necessitano di veicolare e talvolta censurare l’informazione. Questo particolare periodo storico sembra star divenendo cosciente di questo perverso meccanismo, ma tutt’ora confuso e perplesso sui metodi attraverso i quali liberarsene.
E’ evidente come a questo mondo manchi una nuova moralità e che bisognerebbe riconquistare spazi definitivamente abbandonati, ma non bisognerebbe forse guardare con la stessa attenzione a quelli che si sono recentemente aperti? Effettivamente la libertà di agire liberamente sul proprio personal computer, e il diritto ad utilizzare tutte le tecnologie fino ad ora conosciute senza alcuna restrizione, non si configura come una semplice battaglia tra informatici e che tiene fuori il resto della società, ma come un conflitto che riguarda in prima persona proprio quest’ultima. Tutti coloro che credono possano ancora esistere modelli di vita differenti da questo dovranno impegnarsi in prima persona anche in questa nuova battaglia. Gli spazi incontrollabili si sono moltiplicati, ed ora più che mai l’uomo dovrà uscire dalla propria alienazione e riprendere possesso della sua vita. E’ d’altronde forse questo il reale significato della libertà, come disse un vecchio cant’autore ora scomparso: la partecipazione.
Ancora guerra in Congo
Tiblisi: Mosca rallenta la ricostruzione dell'Ossezia del Sud
Le Banche del Tempo
Nicola Caforio
La vita di John Solecki è ancora in bilico
Il Fronte Unito di Liberazione del Belucistan è un’organizzazione molto poco conosciuta e che pare stia accreditando la sua collocazione nel terrorismo internazionale proprio con questa azione. Inoltre sembra sia scorporato dai principali gruppi separatisti beluci, che hanno infatti preso le distanze dal rapimento Solecki e anzi richiesto la sua immediata liberazione. Alcuni esperti credono che questo gruppo sia il prodotto delle pressioni che dal vicino afghanistan arrivano dai talebani, interessati a sporcare la lotta per l’indipendenza beluci, e farla divenire nuovo teatro di scontro politico-religioso. E' infatti piuttosto strano che un gruppo praticamente sconosciuto sia riuscito ad organizzare un'operazione nient'affatto semplice e a non essere ancora rintracciato; anche se va altresì messo in evidenza che le organizzazioni indipendentiste beluci sono numerossisime e che negli ultimi anni, partendo dalla rivolta del 2004, si sono distinte per una crescita esponenziale di attentati ed azioni.
La situazione pakistana sembra ogni giorno di più vicina al collasso, ed il governo incapace nel gestire i continui attriti che si consumano nella regione. Anche il supporto del potente alleato americano sembra vacillare vista l’incapacità di Islamabad di eliminare cellule e covi dei terroristi, e visto anche il ritorno delle tensioni indo-pakistane che dai recenti attentati di Mumbai sono recentemente riesplose.
La provincia del belucistan è la metafora di un paese che va sempre più sfaldandosi, passato da richieste di maggiori autonomia alla dichiarata lotta per l’indipendenza, i gruppi separatisti sembrano voler gestire in prima persona le ricchezze minerarie e di gas della più grande delle quattro provincee pakistane (una volta e mezza l'italia e 10.000.000 di abitanti), e sicuramente per farlo alzeranno ancora il tiro. In tutto il Pakistan, come in molti altri luoghi, c'è una crescita continua del fondamentalismo islamico, che in quelle terre povere e dimenticate dai riflettori dei media, si poggia, si insidia, ed esplode.