martedì 17 marzo 2009

La democrazia si ferma a Genova

Bolzaneto: si accerta almeno in uno dei casi esaminati la violazione dei diritti fondamentali. 30 assoluzioni e 15 condanne.
Castelli: smontato il teorema,, D’alema: fatti incredibili

“E’ mancato il coraggio”, questa l’ accusa dei pubblici ministeri al tribunale di Genova. Un uomo paga per tutti. Biagio Antonio Gugliotta, ispettore della polizia penitenziaria, è l’unico degli imputati ad aver avuto, tra le accuse, l’aggravante della “violazione dei diritti fondamentali”. Secondo la procura, che condanna l’uomo a 5 anni di carcere, il sotto-ufficiale non avrebbe fatto nulla per porre fine alle torture subite dai manifestanti all’interno della caserma di Bolzaneto.

Gli inquirenti Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati prendono atto delle 30 assoluzioni e delle 15 condanne che, per effetto del recente indulto, non prevederanno nemmeno un giorno di reclusione dei 24 anni complessivi disposti. Infatti dal prossimo anno i reati saranno tutti prescritti anche qualora i pubblici ministeri facessero appello, cosa che, dicono: “ faremo lo stesso per coerenza, consci di aver fatto un lavoro onesto”. I p.m. contestano sopratutto la decisone della procura ligure di non inserire tra i capi di imputazione l’abuso d’ ufficio, impedendo così di fatto, l’estendersi della “ violazione dei diritti fondamentali” agli altri imputati giudicati colpevoli.

Il dibattito italiano coglie da Genova un nuovo motivo di scontro. Il centro-destra parla con Castelli di “teorema sventato”, mentre il Partito democratico evidenzia “l’accertamento di fatti al limite della comprensione”. Anche la stampa inglese attacca il verdetto. Il Sundey accusa la polizia italiana di fascismo riportando alcune dichiarazioni delle parti lese che raccontano di aver dovuto inneggiare ripetutamente a Mussolini pur di fermare le continue vessazioni, e riproponendo l’ambiguità della presenza dell’attuale presidente della Camera Gianfranco Fini nella stazione dei carabinieri di Genova.

A.R.. un diciannovenne romano, racconta di aver subito sputi, pugni sul torace, e manganellate tra i testicoli. Di aver sentito urlare a delle ragazze “ Vi scoperemo tutte prima di stasera”.

Gli imputati si dicono intanto soddisfatti e “riabilitati”, compresi i condannati. Questa è l’espressione utilizzata da Giacomo Toccafondi. Il medico dai guanti neri e dalla tuta mimetica che in quelle burascose ore visitò i 252 no-global arrestati, e condannato ad un anno e due mesi di reclusione.

Un inferno come quello di Genova, non può essere riconducibile ad un unico uomo, non può avere un solo regista. Oggi più che mai c’era bisogno di una forte risposta delle istituzioni, dove per forza, si intende la capacità delle stesse di riconoscere l’oblio democratico di quella caserma, di mettere i responsabili di tanta violenza fuori dal recinto sancito dalla democrazia. In un momento ove quotidianamente si assiste ad un braccio di ferro tra politica e magistratura, con la prima che mortifica la seconda, dove i fatti dell’immondizia napoletana e le tangenti ai politici abruzzesi offuscano l’immagine delle istituzioni, era necessaria una comune assunzione di responsabilità, che differenziasse la democrazia dal tacito silenzio e dalla sottile approvazione.

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