martedì 17 marzo 2009

L'etica hackers

L’etica dell’hacker trova la sua piena contestualizzazione nel nuovo assetto societario mondiale. In un assetto nel quale la comunicazione e l’informazione sono aspetti fondamentali della quotidianità, ed il possesso di quest’ultime significa esercitare il potere, l’agire degli hacker non si configura come un metodo attraverso il quale guadagnare una posizione di egemonia all’interno delle nuove società tecnologiche, ma come una maniera per evitare che siano altri a farlo. L’intento non è quello di delimitare conoscenze, ma quello di renderle collettive e partecipate. Ovviamente questi propositi si scontrano con le feroci contrapposizioni di chi invece vuole l’informazione sia un bene privato o per lo meno a gestione di una elite controllata. Gli interessi forti che governano le società, tentano tutt’ora di demolire la figura di questi “ribelli tecnologici” e il modo più comune per farlo è dipingerli come dei pirati informatici. Per capire quanto le reali intenzioni degli hacker siano state strumentalmente reinterpretate, basterebbe tradurre la parola stessa che li indica. Il significato letterale del verbo to hack è tagliare, fare a pezzi, ed è evidente che non vi sarebbe nessuna sponda nel definirli dei pirati informatici. Uno dei mentori della filosofia dell’hackeraggio è il finlandese Pekka Himanen. Egli inquadra questi maldestri, ma comunque riusciti tentativi, con la confusione creata tra la figura dell’hacker e quella del cracker. Quest’ultimo è una sorta di vandalo informatico che si pone come principale obbiettivo quello di distruggere. Radicalmente opposto è invece il credo di un hacker. Le sue azioni sono infatti volte all’abbattimento di ogni tipologia di barriera per favorire un libero scambio di informazioni e conoscenze. Nonostante la filosofia degli hacker sia di difficile categorizzazione politica, molti credono che il loro sia un mondo assolutamente anarchico poiché sprovvisto delle tradizionali divisioni gerarchiche. Effettivamente è difficile contestualizzare l’agire politico di un hacker negli schemi politici ideologici sia passati che presenti, ma una cosa può dirsi con certezza, in un mondo ove “sapere è potere” come disse Francis Bacon, coloro che mettono i bastoni tra le ruote ai detentori dell’oligopolio comunicativo sono i principali e più pericolosi sovversivi. La consapevolezza di questi rischi fa si che i governi e le multinazionali informatiche di ogni parte del globo tentino o di reclutarli tra le proprie fila, o debellarli. Il motore principale della filosofia hacker, è la passione. L’idea che la vera conoscenza passi attraverso la condivisone delle scoperte fa si che il loro mondo sia in continua evoluzione, sempre più ricco e difficile da arginare. Uno dei principali obbiettivi che gli hacker stanno attualmente perseguendo è quello del software libero. Stanchi di sentirsi intrappolati dalle maglie commerciali delle multinazionali del settore, sviluppano nuove forme di gestione della macchina che la rendano sempre più duttile ed in grado di rispondere ai propositi di ogni tipologia di utente. La bellezza di un programma sta nella sua capacità di trasformarsi continuamente così da incontrare differenti gusti ed opinioni. Poiché uno dei principali limiti posti alla circolazione ed evoluzione della conoscenza è quello del loro costo, gli hackers si dichiarano apertamente contro ogni licenza che, sotto il benevolo tentativo di tutelare i diritti di autorialità, persegue il celato intento di rallentare il progredire del sapere e renderlo pubblico solo una volta che sia reso innocuo. Con questa motivazione, essi sono i più motivati antagonisti del copyright e i più acerrimi sostenitori di altre tipologie di licenza come le creative commons o il copyleft. Il loro obbiettivo è ottenere che tutti i programmi ed i softwares abbiamo il codice sorgente aperto, in maniera da far si che un qualsiasi utente possa lavorarci e migliorarlo a suo piacimento, per poi renderlo successivamente disponibile all’intera collettività. Un altro degli elementi fondanti della filosofia dell’hackeraggio è quello della decentralizzazione delle informazioni. Infatti se queste sono sotto tutela di pochi e scelti individui che seguono finalità diverse da quelle della collettività, sarà difficile che avvenga una reale crescita della medesima. Pertanto è necessario creare una nuova socialità aggregativa che permetta ai moderni spettatori di divenire attori. E’ per questo che essi si danno numerosi appuntamenti, tal volta clandestini, nei quali potersi scambiare scoperte e conquiste. Apparentemente si può credere che la vita di un hacker sia quasi ascetica, poiché non fa nulla per mostrarsi e tutto per celarsi. Effettivamente è innegabile che la maggioranza del suo tempo si svolga a contatto diretto con il personal computer, e solitamente esclude la presenza di terzi; ma in realtà in questa affermazione ci sono quanto meno due elementi sui quali riflettere e precisare. Gli hackers sono costretti a non comparire poiché se lo facessero comprometterebbero di sicuro l’esito dei loro progetti, data la spietata caccia che subiscono da istituzioni e non; in secondo luogo, nonostante la loro attività si svolga effettivamente dietro una macchina, ciò non vuol dire che non siano parte integrante di una vastissima comunità, seppur radicalmente diversa dalle tradizionali. Il loro obbiettivo è “riprogettare” il modello di vita esistente. Particolarmente interessante è osservare che gli hackers non hanno creato una tipologia mondo esterna a questo, ma progettato una serie di cambiamenti possibili su larga scala. Si sono spesso spesi, e il movimento del software libero ne è una chiara dimostrazione, nel dimostrare che i loro precetti fossero ampiamente applicabili alle società anche oggi vigenti. L’idea che tali idee non potessero consentire un riscontro pratico, è stato un’ulteriore depistaggio messo in atto dai poteri dell’informazione. Decantare l’impossibilità di applicare questi modelli libertari all’universo dell’informazione, consentirà loro infatti, di descriverne i suoi paladini come dei semplici provocatori dal poco spiccato senso della realtà e dall’infinito senso dell’immaginazione. Un altro dei precetti fondamentali dell’hacheraggio è la capacità di “liberare spazi” sia fisici che virtuali. Le nuove tecnologie hanno dato vita a numerose e nuove dimensioni spaziali. Far si che queste non siano a disposizione di pochi e lo siano invece della molteplicità, è una delle mete essenziali della dottrina. Per questo sarà dovere esplicito di un hacker migliorare tutto ciò che è migliorabile. L’etica degli hacker è piuttosto ferrea, ad egli non è consentita la distruzione di un programma, ma solo le azioni volte a migliorarlo. Potrà cancellare i propri dati per annullare la visibilità di un suo passaggio, ma non alterarne altri solo per mero divertimento. Come si evince l’etica hacker è una vera e propria controcultura. Il termine è più che mai appropriato poiché essa non si muove all’interno di culture predefinite, ma ne crea una completamente nuova ed anzi contrapposta, dal dichiarato spirito sovversivo. L’idea di poter aiutare il mondo ad acquisire consapevolezza, è una delle caratteristiche degli hacker di ultima generazione, e patrimonio della prima (le generazioni fino ad ora identificate sono tre). Questo scopo è perseguibile solo sperimentando e liberando l’infinito potenziale creativo umano; saranno questi nuovi attori a rendere le macchine informatiche da meri involucri glaciali a mezzi della nuova conoscenza. La bellezza di un prodotto sarà la metafora delle infinite possibilità umane. Quanto più il risultato sarà affascinante, tanto più crescerà la voglia di investigare e continuare nella via intrapresa. L’uomo dovrà inoltre, non solo acquisire consapevolezza di se, ma incrementare il suo senso di responsabilità non più esclusivamente verso se stesso, ma anche verso i propri simili. Proseguendo su questa logica è piuttosto evidente la necessità di considerare le società come fondate sul concetto di egualitarismo, prive cioè di qualsiasi carattere discriminatorio fondato sul sesso, la razza, la religione, etc. Tutti sono chiamati ad interagire con la macchina e ad integrarla quanto più possibile, e tutti ne possiedono le facoltà. Bisognerà sostituire la ordinaria logica della gerarchia verticale ad una nuova ed orizzontale. Questo però non vorrà dire considerare tutti del medesimo livello e disconoscerne le peculiarità, ma responsabilizzare e incoraggiare l’attivismo. L’etica degli hacker è fortemente meritocratica, essi verranno riconosciuti in base ad i risultati che saranno capaci di ottenere. La fattività è un elemento di primaria importanza poiché il massimo sforzo di tutti permetterà di raggiungere i livelli più alti. Sulla meritocrazia gli hackers fonderanno altresì la fiducia degli uni verso gli altri. Coloro che riusciranno a raggiungere obbiettivi concreti atti a migliorare la capacità di trasmissione, comprensione e diffusione della conoscenza, saranno considerati affidabili dai loro colleghi, e pertanto da coinvolgere in obbiettivi di livello ancor più elevato.
E’ difficile che una persona divenga “casualmente” un hacker, per quanto ovviamente ciò non significhi che essi appartengano a categorie standardizzabili e sempre uguali, si distinguono comunque per una accentuata passione e senso di collettività. L’esempio forse più calzante di queste affermazioni è nel rinomato Luther Blisset. L’autore di Q e di Marituana è in realtà un acronimo di una azione controculturale che si serve della guerriglia psicologica per sabotare il controllo che il potere esercita sui media. Chiunque può appropriarsi liberamente di questo nome multiplo, tutti gli attivisti si chiamano Luther e questo rende possibile la loro identificazione: si cancella l’identità anagrafica con l’intento di perdere quella di in-dividui per divenire con-individui. Questo movimento, oltre ad essere ideale per esprimere il concetto di multiproprietà, è in grado di ottenere un risultato immediatamente tangibile, ovvero quello di mettere fortemente in crisi il meccanismo del copyright e dei diritti d’autore. L’utilizzare il medesimo nome per indicare un numero significativo di individui da inoltre l’opportunità di evidenziare un’altra delle caratteristiche dell’etica hacker, ovvero quella che Bey chiama “nomadismo psichico”. Questo rappresenta l’abbandono delle appartenenze familiari, etniche, nazionali, geografiche, religiose, di gruppo politico, e di identità rigidamente intese, diviene cioè una nuova cultura, adeguata per il profilarsi di nuove ed innovative dinamiche relazionali. Un riferimento importante degli hackers sono le Bbs (Bulletin Board System). Essi ne riconoscono il ruolo in quanto forma autonoma di gestione dell’informazione dai grandi oligopoli mediatici, e vorrebbero anzi venisse presa a modello come metodo di tutela del libero pensiero. Essendo forma di controcultura, gli hackers ovviamente diffidano dell’autorità in generale, e specialmente di quella burocratica industriale. Essa, legata alla logica della proprietà informativa, è politicamente inconciliabile con la morale dell’hackeraggio, e anzi espressione del modello culturale che si intende rovesciare. Il sogno degli hackers è infatti assai diverso da quello degli agenti commerciali dell’informatica. Quest’ultimi sono ritenuti responsabili delle briglie poste alla tecnologia, che non lasciano segua un percorso di naturale evoluzione, e che la veicolano completamente ed esclusivamente verso i propri interessi. Altro motivo di scontro è la richiesta hackers di poter mantenere l’anonimato di ogni utente. Secondo la loro filosofia è infatti inammissibile qualsiasi forma di schedatura senza lo specifico consenso dei navigatori telematici. Spesso infatti le aziende del settore utilizzano la rete internet per mandare messaggi commerciali volti a pubblicizzare i propri prodotti; le legislazioni dovrebbero essere molto più dure con queste tipologie di fenomeni piuttosto che verso chi tenta di allargare le maglie dell’informazione e coinvolgere la maggior parte possibile dei soggetti presenti nel quadro sociale. Questo elemento di contrapposizione è forse quello che più di tutti ha reso la figura degli hackers famosa nel mondo. E’ innegabile che essi provino un certo gusto nel considerarsi una nuova avanguardia rivoluzionaria e pertanto al centro delle attenzioni dei poteri mondiali. Ovviamente lo scontro, che nasce comunque su basi ideologiche, è divenuto presto pretesto di sbeffeggiamento e di rivalsa. Quelli che forse sarebbe opportuno definire dei nuovi pionieri della conoscenza, sono così divenute figure reali dell’immaginario di ogni individuo, e alimentato storie e leggende sul proprio conto che, il cinema e l’editoria, hanno immediatamente recepito ed utilizzato a proprio vantaggio. Il fine principale comunque, era è continua ad essere: portare il computer alle masse, e farne un mezzo rivoluzionario atto a sovvertire l’ordine costituito attraverso la promozione della conoscenza. Perché il cambiamento sia effettivamente radicale, il computer dovrà essere anche il mezzo attraverso il quale promuovere una nuova estetica che tenga conto, da un lato dell’utilità, e dall’altro della necessità di donare alla creazione una bellezza propria ed esule dal suo autore. Gli hackers comunicano tra loro attraverso quello che viene comunemente definito “il computer underground”. Questa rete relazionale è una struttura aperta alternativa orizzontale di scambio informatico, non ufficiale e non gerarchica; la sua organizzazione sociale è, al livello di minima sofisticazione, quella tra colleghi. Qui gli hackers sviluppano le nuove conoscenze acquisite e le scambiano ed integrano con quelle raggiunte dagli altri colleghi. Spesso collaborano al fine di realizzare un progetto comune, e questo implica fiducia, acquisibile con l’idea della fattività correlata alla meritocrazia precedentemente citata. In questi luoghi, seppur senza volto, gli hackers svilupperanno una fitta rete di relazioni atte all’obbiettivo di rovesciare i modelli culturali vigenti. La “rivoluzione” implicherà necessariamente una nuova ridefinizione dell’uomo. Egli dovrà concepirsi autore reale della propria vita e smettere di accettare le barriere alla conoscenza poste da altri. Dovrà acquisire la forza e la curiosità necessaria al superamento della propria alienazione ed impedire a chiunque di veicolare le modalità di apprendimento del sapere.
E’ imperativo hackers rimuovere la conoscenza come fattore esclusivamente economico (una parte vorrebbe venisse completamente rimossa la possibilità di guadagnare attraverso l’informazione). Il tempo dedicato alla diffusione della conoscenza non è solo un lavoro, e pertanto non va considerato rigidamente come tale, cioè sottoposto alle rigide logiche del profitto ed a quelle della parzialità geografica. Diffonderla indipendentemente dai suoi ricavi, permetterà al mondo di conoscere e riconoscere se stesso da Tokio a Kabul. Sarà così possibile: da un lato rimuovere le differenze strumentali e artificiali, dall’altro evolvere costantemente e comunemente verso un sistema mondo che cammini insieme nel rispetto delle varie differenze. Fino a che fare conoscenza significherà principalmente acquisizione di denaro e potere, sarà impossibile rimuovere le barriere dell’ego umano a favore del libero flusso della collettività. Bisognerà necessariamente, poiché si vive nell’epoca del capitalismo, trovare nuove modi attraverso i quali coniugare i due elementi e privilegiare comunque il senso civico dell’intento rispetto al suo lato puramente economico. Da quanto fino ad ora sostenuto, è facile evincere come la morale hacker costituisca un pericolo per gli assetti di potere odierni. Se la circolazione del sapere fosse effettivamente libera e ad usufrutto di chiunque, è immaginabile che vi sarebbero dei cambiamenti a dir poco strutturali, e che tutte quelle che fino ad ora sono state percepite come certezze smetterebbero di esserlo. Visto il carico della sfida che l’hackeraggio ha deciso di affrontare, non stupiscono le continue dichiarazioni governative e non, volte a circoscrivere il fenomeno. Infatti qualora i propositi degli hackers divenissero realtà, non solo andrebbero in crisi le classiche figure del potere, ma lo stesso sistema sulle quali si fondano. Ciò nonostante, l’agire delle multinazionali informatiche, non si delinea solo come censura ed estromissione, ma anche come tentativi di cooptazione del mondo hacker. Numerosi sono i tentativi riusciti delle grandi aziende nel corrompere i “rivoluzionari digitali”. Questo perché essi non sono solo una minaccia, ma degli intenditori di informatica, e pertanto nuove competenze tecniche a proprio servizio. Ciò nonostante, il mondo sotterraneo dell’hackeraggio sta oramai acquisendo una forza tale da sembrare incontrollabile. Anche nei paesi dove la censura mostra il suo lato più brutale, gli hackers riescono ad essere portatori di controcultura e talvolta a far acquisire nuova consapevolezza alle masse. Uno dei mari nei quali essi spesso sguazzano, è quello del nascente fenomeno dei blogger. Spesso infatti creano dei siti di controinformazione nei quali mostrano l’altra faccia della medaglia, o screditano le versioni date dalle autorità. Si moltiplicano altresì i siti nei quali è possibile reperire materiale o programmi crackati e sottoposti al rigido schema delle licenze. Insomma, gli hacker oggi non sono più delle gocce nel mare, ma una parte considerevole di esso. Mettendo in evidenza quelle che sono le caratteristiche etiche degli hackers, ne esce un quadro completamente diverso da quello nel quale si è abituati collocarli. Sempre dipinti come dei “traccheggiatori” senza scrupoli, sono invece dei comunissimi appassionati di tecnologia e sostenitori della conoscenza globale. Analizzate quelle che sono le caratteristiche fondanti dell’ideologia hacker, ci si rende conto che in questa categoria rientra un numero di persone molto più vasto di quello che invece sarebbe una comunità di “vandali informatici”. Gli obbiettivi che essi si prefiggono hanno uno spessore etico ed una potenzialità davvero sorprendente. Ed è per questo che sono forse oggi la sfumatura sociale meno arrestabile. Un hacker non è una specie di supereroe, ma una comune persona in grado di parlare il linguaggio della macchina; è questo che malvolentieri oggi i poteri forti dell’informazione stanno realizzando. Mentre una volta era possibile stanarli ricercandoli nei vecchi scantinati nei quali solitamente erano, oggi sono comparsi dietro ogni singolo computer e combatterli diviene sempre più difficile. Le potenzialità derivanti dalla macchina e soprattutto dalla rete internet, sono troppo grandi per poter essere limitate. Nonostante le varie invenzioni censorie, sarà sempre fortemente impari la quantità e la qualità delle forze in campo, e guardando al futuro sembra prevedibile che le multinazionali informatiche si vedano costrette a fare dei passi indietro. Ovviamente queste previsioni sono ancora ben lungi dal trovare conferma empirica, e potrebbero cambiare radicalmente considerato il valore della posta in gioco. E’ infatti questo che bisogna tenere costantemente presente quando si osserva l’evoluzione dei propositi hackers e le controrisposte dei poteri dell’informazione. Se gli hackers dovessero (anche in un futuro davvero lontano) vincere questa battaglia, le caratteristiche delle società fino ad ora conosciute sarebbero clamorosamente rivoluzionate. Probabilmente anche la stessa idea di democrazia verrebbe sottoposta a revisione. La trasparenza non dipenderebbe più dalla sensibilità e dal senso civico dei vari amministratori, ma dal fatto che i cittadini potrebbero verificarla in prima persona e conseguentemente decidere. La verità dei fatti non sarebbe più ad interpretazione di un gruppo ristretto di individui, ma di una comunità molto più vasta. L’obbiettivo è tutt’ora molto lontano, ma sono aumentate a dismisura le persone che nutrono un profondo scetticismo verso i canali dominanti. Sono davvero in pochi ormai coloro che credono nella spontanea sincerità del sistema, e sempre più invece quelli che cominciano a covare il serio dubbio che sia tutto molto più complesso di quello che sembra. Molti studi hanno recentemente mostrato che condividere metodi, forme e contenuti della conoscenza, permette di raggiungere risultati davvero incredibili, molto più importanti di quelli invece risultato del personalismo dei suoi autori. Il solo diffondere questi dati, permetterebbe quanto meno di capire che il percorso che si sta seguendo non è quello volto a far si che l’uomo sappia il più possibile nell’arco della sua vita, ma quello deciso da soggetti che sanno benissimo che per conservare un determinato ruolo sia sociale che politico, necessitano di veicolare e talvolta censurare l’informazione. Questo particolare periodo storico sembra star divenendo cosciente di questo perverso meccanismo, ma tutt’ora confuso e perplesso sui metodi attraverso i quali liberarsene.
E’ evidente come a questo mondo manchi una nuova moralità e che bisognerebbe riconquistare spazi definitivamente abbandonati, ma non bisognerebbe forse guardare con la stessa attenzione a quelli che si sono recentemente aperti? Effettivamente la libertà di agire liberamente sul proprio personal computer, e il diritto ad utilizzare tutte le tecnologie fino ad ora conosciute senza alcuna restrizione, non si configura come una semplice battaglia tra informatici e che tiene fuori il resto della società, ma come un conflitto che riguarda in prima persona proprio quest’ultima. Tutti coloro che credono possano ancora esistere modelli di vita differenti da questo dovranno impegnarsi in prima persona anche in questa nuova battaglia. Gli spazi incontrollabili si sono moltiplicati, ed ora più che mai l’uomo dovrà uscire dalla propria alienazione e riprendere possesso della sua vita. E’ d’altronde forse questo il reale significato della libertà, come disse un vecchio cant’autore ora scomparso: la partecipazione.

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