lunedì 29 giugno 2009

India. dal socialismo al liberismo di destra

Il declino dell’età nehruviana che ha visto la famiglia del primo presidente dell'india indipendente, Jawaharlal Nehru, governare il subcontinente indiano dal 1947 al 1989, è coinciso con un altro grande evento globale: la caduta del muro di Berlino. Da quel momento in poi si è assistito, in India come in molte parti del globo, all'affermarsi delle politiche neoliberiste vincitrici sul “socialismo reale”. L’economia affermatasi nel subcontinente indiano è ormai caratterizzata da una intensa presenza privata, e l’induismo politico non è più un semplice carattere distintivo della società come in passato, ma un vero e proprio progetto volto ad unificarne i membri e discriminarne gli esterni. Il sistema politico indiano non consente più, come prima del 1996, di governare in funzione di partito dominante; servono le alleanze programmate per sconfiggere i propri avversari. I partiti minori hanno acquisito nel tempo un peso sempre maggiore e favorito la crescita esponenziale di due tipologie di partiti: quelli a dimensione locale, e quelli rappresentanti gli interessi castali. Questa tendenza può considerarsi come una delle tipiche conseguenze del processo della globalizzazione. In un quadro tanto complesso quanto confuso, si tende a privilegiare quei partiti portatori di interessi specifici e non gli enormi calderoni burocratici. Nelle ultime consultazioni elettorali di qualche mese fa sia il partito storico del Mahatma Gandhi, il Congresso, che il partito fondamentalista induista, il Bjp, hanno perso numerosi consensi a scapito di partiti molto più piccoli, specialmente verso quelli di sinistra. L'elettorato, spesso depoliticizzato nel senso classico delle contrapposizioni ideologiche, tenta quanto più possibile di salvaguardare o migliorare la propria posizione attraverso l’elezione di rappresentanti della stessa categoria sociale. Espressione di questa particolare tendenza è stata altresì la formazione di un partito portatore degli interessi dei fuoricasta, gli intoccabili, che oggi possono vantare addirittura la presidenza della camera bassa (la Lok Sahba) con la prima donna nella storia del subcontinente ad assumere questo incarico, Meira Kumar . Questo tipo di sviluppi ha portato essenzialmente a tre conseguenze: il moltiplicarsi del numero dei governi e la loro instabilità, l’eterogeneità delle maggioranze, composte da differenti gruppi di interessi, e l’ascesa dei partiti regionali, che hanno acquisito un peso considerevole per la vita dei governi stessi. A partire dalle elezioni del 1996 in poi, le coalizioni di governo non sono più monocolore come in passato, ma rispettano tutte e tre le caratteristiche precedentemente citate. L’evoluzione partitica peggiore dall'indipendenza ad oggi è certamente quella del Congresso ,che un settimanale inglese ha definito come “un insieme di ladri e adulatori”. Con la morte dello storico leader Nehru, si è verificato nel partito un graduale processo di svuotamento ideologico, conclusosi definitivamente con il definitivo tramonto dell’età nehruviana e la morte di suo nipote Rajiv. Il prestigio delle famiglie di appartenenza, in India come in Birmania ed altri paesi, è un vero e proprio lasciapassare politico. Se la tradizione parentelare è solida, un personaggio sconosciuto potrà essere candidato alle più alte cariche dello stato E' questa l'origine della candidatura di Sonia Gandhi, che tuttavia nemmeno alle ultime elezioni si è mostrata particolarmente entusiasta di guidare il paese, e ha lasciato come in passato l'incarico a Manmohan Singh. In un quadro politico divenuto più instabile, i governi che si sono susseguiti negli anni si sono sempre più distanziati dal modello socialista che Nehru aveva tanto auspicato, e hanno di fatto reso manifesto quel che globalmente stava avvenendo con la caduta del muro di Berlino: la resa del socialismo a favore del modello liberista. L'anomalia del sistema politico indiano è che per quanto sia stata diffusa in tutto il mondo la tentazione dei partiti di sinistra di essere conniventi con il galoppante nuovo modello economico, in India questi sono divenuti tra i suoi sostenitori più entusiasti. Negli anni cruciali per il definitivo seppellimento del socialismo reale di Nehru, tutti gli attori politici indiani sembrano sposare la nuova dottrina, anche il leader dei comunisti bengalesi Joyty Basu si è speso in giro per il mondo per convincere i grandi imprenditori ad investire nel subcontinente. Non vi sono dubbi sui risultati di questo nuovo approccio: il pil indiano cresce del 6-7% annuo e il settore informatico è divenuto un faro mondiale, ma qui si parla di economia, se si parlasse di qualità della vita i dati sarebbero ben diversi. Ancora oggi, come allora, sembra non vi siano molti giovamenti per quel 33% della popolazione che, a dire anche delle statistiche ufficiali, non raggiunge il livello minimo economico sufficiente a prevenire la denutrizione. La discrepanza sociale che Nehru voleva assolutamente debellare è ancora in atto. Le politiche adottate sono si in grado di far progredire economicamente l’intero subcontinente ma sono capaci di garantire maggiore equità e giustizia sociale? La logica del profitto è universale e pertanto valida in India come in tutte le altri parti del mondo, ma la situazione indiana è davvero paradossale poiché se la sua economia, nonostante l'odierna crisi economica, continua ad essere ad alto sviluppo, lo stesso non può dirsi del suo livello di benessere collettivo. E’ forse in India più di tutti che si pone la domanda più importante del presente, E’ questo che può realmente definirsi sviluppo?
Le elezioni di qualche mese fa, pur vedendo riconfermata l'alleanza di governo capeggiata da Manmohan Singh, ha visto un significativo passo in avanti dei partiti di sinistra che più di tutti in questi anni hanno premuto verso la critica al governo sui temi sociali. Evidentemente, per quanto assolutamente ancora stabile come modello, il liberismo indiano comincia a subire dei leggeri colpi dal basso. Le fasce più deboli della popolazione sembrano risvegliarsi dal mito del “sogno americano” e rendersi conto che nonostante i numeri descrivano un paese in continua ascesa, la propria condizione è terribilmente stabile se non peggiore.
La mancata reazione a politiche privatistiche così invasive rientra anche nella collocazione che queste hanno assunto in un vero e proprio faro della civiltà del subcontinente, ovvero nel funzionamento delle caste. Queste, assolutamente uniche nel pianeta, vivono di una gerarchia verticale inclusiva, ovvero che per quanto profondamente ineguale tende a includere tutti ii membri in un contesto collettivo basato sulla necessità reciproca. La logica di una superiorità castale per nascita quindi, ben si è sposata con una certa accettazione dello status della povertà. Tuttavia, con passaggi come quello dell'elezione come presidente della camera bassa di Meira Kumar, è facile prevedere che le categorie meno abbienti comincino a porsi sempre più il dubbio che la loro condizione non sia del tutto scritta, e pertanto nemmeno legittima. Questa consapevolezza, qualora divenisse effettiva, getterebbe il paese nel caos. Solo una politica attenta, non solo al dare segnali, ma anche a decifrare quelli in atto, potrà evitare che crescano tensioni pericolose, e rispondere alla richiesta di uguaglianza che arriva da numerose fasce della società. Il paese che divenne la semina di un nuovo e rivoluzionario pensiero quale il gandhismo, è oggi nella condizione di dover scegliere se risolvere definitivamente le sue discrepanze sociali prima che esplodano, o se continuare ad ignorarle e pensare invece ad un accumulo complessivo senza badare alla sua distribuzione territoriale. I modelli, per quanto economicamente efficaci, non potranno mai perdurare nel tempo se non riconosciuti come i più giusti per la comunità., specialmente in un quadro globale ove le tensioni tra gruppi differenti (sia per religione che per differenti status economici) sono in continuo crescendo. L'India dovrà farsi portatrice di un nuovo messaggio. Dovrà dimostrare che è possibile congiungere la crescita economica con il crescere della qualità della vita. Dovrà divenire cioè, come già avvenne in passato, la guida di una “terza posizione” che badi ai valori economici senza dimenticare che, se pur timidamente, se pur silenziosamente, dietro di essi ci sono delle persone.

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